Da giorni le immagini del corpo esanime di Papa Francesco sono esposte sulle televisioni di mezzo mondo. Un gesto propagato come omaggio solenne ad una massimo autorità che ha lasciato per sempre il suo ruolo. Ma vedere quel corpo senza vita palesato su ogni schermo o pagina di giornale ha in sé una carica simbolica che è molto più complessa di quel che sembra – a parte il farmi piuttosto impressione. Ad emergere è la sacralità della chiesa cristiana che nel perseguire questo rito di passaggio così articolato, si incrocia con la laicità delle funzioni pubbliche e sembra “normalità”.
Ma non è questa la massima espressione di come la cultura gestisce e sacralizza lo svolgimento naturale della vita?
Il corpo del Papa, vestito, purificato e sacralizzato con riti specifici è stato sottoposto a tanatoprassi, una sorta di imbalsamazione temporanea che permette di conservarne il corpo. Conservarlo, affinché possa essere visto e sottratto al disfacimento naturale del tempo.
La gestione della morte viene messa in scena attraverso cerimonie sacre con un dietro le quinte di strumenti prettamente laici e scientifici. Ed è proprio questa sovrapposizione culturale che fa riflettere.
Un Vaticano antico e guidato da una tradizione millenaria che nel tempo si scontra e usufruisce di strumenti che fa anche suoi. Un confine tra sacralizzare e laicizzare la morte stessa, tentando di conservarne l’apparenza ma liberandone l’anima. L’estetizzazione di un corpo è gestione necropolitica: si vuole mostrare un Papa sereno, incorrotto e ancora presente. L’esposizione pubblica diventa così un rito sospeso tra la fede nell’immortalità dell’anima e il desiderio, profondamente umano, di immortalare il corpo. Uno stato in cui l’uomo ha interferito con lo svolgimento naturale. A risaltare è questo costante bisogno di rendere eterno ciò che per natura dovrebbe svanire.
Secondo Achille Mbembe gestire i corpi morti è una forma di potere supremo. Il potere decide la visibilità della morte: può mostrarla o cancellarla. La rappresentazione del corpo morto serve anche per produrre effetti politici: paura, venerazione, unità, controllo. La spettacolarizzazione della morte è una messa in scena che non parla solo del defunto, ma riafferma il potere della comunità o dell’istituzione che gestisce il rito – qui la chiesa. Qui il Vaticano governa la morte trasformandola in un evento visibile, carico di significato sacro ma anche politico, con tanto di autorità da tutto il mondo.
Ed è qui che il Papa muore, ma il suo volto rimane, come icona, memoria, speranza per tutti quei fedeli e non che lo ricorderanno in quella fragile illusione di eternità.
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